Nel mirino del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sono finiti vino, champagne e altre bevande alcoliche di origine europea. Se l’Unione Europea imporrà un dazio del 50% sul whisky, gli Usa “imporranno una tariffa del 200% su tutti i vini, champagne e altri prodotti alcolici provenienti dalla Francia e da altri Paesi europei”, ha detto Trump in un post sul social Truth. Aggiungendo che “questo sarebbe grandioso per il business del vino e dello champagne negli Stati Uniti”. I più colpiti da questo provvedimento sarebbero Francia e Italia, primi due Paesi europei per export di bevande alcoliche negli Usa che insieme pesavano per circa 4,9 miliardi (su 4,9 miliardi di export di alcolici europei negli Usa), di cui 1,93 miliardi dall’Italia e oltre 2,3 miliardi dalla Francia. L’Italia, secondo l’Osservatorio Uiv, lo scorso anno ha spedito negli Usa il 24% del totale export globale (+10% sul 2023) che si azzererebbe completamente con questi dazi. Con i dazi al 200% a perdere sarebbe anche tutta l’industria del wine&food americana, perché per ogni euro di vino d’importazione acquistato se ne generano 4,5 in favore dell’economia statunitense. Cia ricorda che la percentuale di export di vini verso gli Usa ha segnato un incremento del +7% sull’anno precedente (+7%), con un’impennata per i vini spumanti (+19%). Si tratta di un’incidenza di quasi il 24% sull’export totale di vini tricolore.
A dipendere maggiormente dagli Stati Uniti per il proprio export sono i vini bianchi Dop del Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, con una quota del 48% e un valore esportato di 138 milioni di euro nel 2024; i vini rossi toscani Dop (40%, 290 milioni), i vini rossi piemontesi Dop (31%, 121 milioni) e il Prosecco Dop (27%, 491 milioni). Cia ricorda che il rischio di dazi lascerebbe strada libera ai competitor che potranno aggredire una quota di mercato molto appetibile: dal Malbec argentino, allo Shiraz australiano, fino al Merlot cileno. Dalla parte dei produttori di vino italiani, Cia ricorda anche come sia difficile recuperare rapporti solidi con i buyer Usa, una volta che questi siano costretti a interrompere le relazioni con l’Europa per cercare altri mercati internazionali. Questa, secondo Coldiretti sarebbbe “una misura estrema che manderebbe di fatto in sofferenza il vino tricolore, compromettendo un percorso che negli ultimi venti anni ha visto le vendite negli Stati Uniti quasi triplicate in valore, con un incremento del 162%, secondo l’analisi della Coldiretti su dati Istat, tanto da rappresentare circa un quarto delle esportazioni totali di vino italiano. Quasi un terzo del totale è rappresentato dagli spumanti”.
Per il presidente dell’Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi “l’escalation delle guerre commerciali genera situazioni grottesche in cui a perdere sono tutti. Siamo al sonno della ragione che genera mostri, speriamo in un pronto risveglio da questo incubo, perché il vino è il simbolo dell’amicizia tra i due popoli”.
"Confidiamo che l'ultima dichiarazione del presidente Trump sia una provocazione. Inutile dire che con tariffe di queste (s)proporzioni, i nostri produttori di vino perderebbero il partner commerciale numero uno al mondo. L'export italiano di vino verso gli USA vale, infatti, quasi 2 miliardi di euro ed è in crescita. Pochi mesi fa, a fine 2024, le nostre aziende hanno partecipato all'edizione americana di Vinitaly con grande entusiasmo e risultati. Restiamo convinti che innescare una guerra di dazi non serva a nessuno. L'Unione Europea, per evitare di azzerare l'export verso gli Stati Uniti, deve fare sistema ed agire in modo coeso privilegiando la negoziazione", commenta Massimiliano Giansanti, Presidente Confagricoltura.
“La minaccia di Trump è legata alla conferma dell’Europa del dazio del 50% sul whisky americano -aggiunge l’ad di Filiera Italia Luigi Scordamaglia - La Commissione Ue dovrebbe dimostrare buona volontà continuando ad evitare con la moratoria in essere questo dazio salvaguardando cosi vino ed alcolici europei. Qualcuno deve cominciare a mostrare un po’ di buon senso, sia l’Europa a farlo per prima".
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